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L’arte del piacere: un secolo di sesso al cinema

Ci sono scene che ti restano addosso. Ricordo la prima volta che vidi una scena di sesso al cinema: non fu eccitazione, ma stupore. Come se qualcuno avesse avuto il coraggio di dire ad alta voce qualcosa che fino ad allora avevo solo pensato. Il corpo, il desiderio, la vergogna, tutto insieme, senza filtri. A volte il piacere sullo schermo è puro, carnale. Altre volte è malato, violento, o profondamente malinconico. Eppure, in ogni caso, ci parla. Perché il cinema erotico, più che raccontare il sesso, ha raccontato il nostro modo di immaginarlo, di temerlo, di cercarlo.


Raccontare la sua storia significa anche raccontare una parte di noi: l’inconscio collettivo, le pulsioni che la società ha tentato di reprimere, il modo in cui siamo cambiati, o no, di fronte all’intimità. Significa attraversare le censure, le rivoluzioni, e gli scandali. Ma anche ritrovare, in mezzo a tutto questo, un gesto di libertà.


Love, di Gaspar Noé
Love, di Gaspar Noé

Le origini


Agli albori del Novecento, il cinema era ancora un’arte nascente, soggetta ai codici morali delle società in cui si sviluppava. Le prime pellicole evitavano ogni esplicita rappresentazione dell’atto sessuale, preferendo suggerirlo con sguardi, allusioni e gesti simbolici.


Negli anni ’20, il cinema europeo si dimostrò più audace di quello americano. Pellicole come Häxan (1922), del danese Benjamin Christensen, affrontavano la sessualità in chiave esoterica e patologica, facendo scalpore per il loro erotismo implicito. Intanto, attrici come Greta Garbo e Louise Brooks incarnavano un nuovo tipo di sensualità: misteriosa, androgina, magnetica.

Parallelamente, in una zona d’ombra, prendeva forma un filone clandestino: gli stag films americani, corti pornografici senza trama, girati artigianalmente e destinati ai bordelli o ai collezionisti privati. Una pornografia primitiva, già sintomo di una frattura tra morale pubblica e desiderio privato.


Eyes wide shut, di Stanley Kubrik
Eyes wide shut, di Stanley Kubrik

La censura e il codice Hays


Nel 1930, Hollywood istituisce il Codice Hays, un sistema di autocensura che per oltre trent’anni proibì scene ritenute “immorali”: sesso, desiderio femminile, adulteri e omosessualità venivano banditi o trasformati in allusioni velate.

Mentre l’America tagliava, censurava e moralizzava, il cinema europeo si muoveva in direzione opposta.


Registi come Federico Fellini e Ingmar Bergman trattavano la sessualità con simbolismo e profondità psicologica. Fellini, in film come Satyricon o Giulietta degli spiriti, trasformava il desiderio in rito e sogno, mentre Bergman, con capolavori come Persona o Il silenzio, indagava il sesso come comunicazione interrotta, trauma, identità in crisi.


Il vero terremoto arriva negli anni ’70, con l’esplosione della controcultura e della rivoluzione sessuale. Un esempio su tutti: Ultimo tango a Parigi (1972) di Bernardo Bertolucci, con Marlon Brando e Maria Schneider. Il film sfonda ogni barriera: erotismo,

alienazione, dolore e improvvisazione si fondono in un’opera controversa e scandalosa, che finisce in tribunale e viene condannata alla distruzione in Italia.


Tinto Brass ha fatto della sessualità un manifesto libertario e popolare. Film come Salon Kitty (1976) e La chiave (1983) portano l’erotismo femminile al centro della narrazione, tra provocazione, citazioni pittoriche e una cura visiva da autore. Nonostante le controversie, il suo lavoro è stato elogiato da Federico Fellini e Gianni Canova per l’originalità e l’intuito stilistico, tanto da diventare una figura di culto del cinema erotico europeo.


In The Realm of the Senses, di Nagisa Ōshima
In The Realm of the Senses, di Nagisa Ōshima

Lo sdoganamento e il distacco


Negli anni '80 e '90, il cinema iniziò a trattare la sessualità con maggiore complessità e realismo. Film come Basic Instinct (1992) e Eyes Wide Shut (1999) esplorarono il desiderio e la psicologia dei personaggi senza filtri, sfidando il pubblico con narrazioni provocatorie.


Intanto, il sesso si emancipa dalla narrativa cinematografica e diventa un prodotto industriale autonomo: il mercato del porno entra nelle case con il VHS. Nascono le prime star del settore: Rocco Siffredi, Jenna Jameson, Ron Jeremy, e l’estetica si standardizza in un consumo rapido e decontestualizzato, senza più sceneggiatura, regia o simbologia. Internet farà il resto, rendendo il porno gratuito, illimitato e immediato.


La Vie d'Adèle, di Abdellatif Kechiche
La Vie d'Adèle, di Abdellatif Kechiche

Nel cinema d’autore, però, il sesso prosegue la sua evoluzione: registi come Abdellatif Kechiche (La vita di Adele, 2013) e Gaspar Noé (Love, 2015) continuarono a ridefinire i confini tra erotismo e narrazione cinematografica, normalizzando la presenza della sessualità sullo schermo senza censure e senza il peso del proibito.

Il regista danese Lars Von Trier, con film come Nymphomaniac (2013), trasforma la sessualità in un oggetto di studio filosofico: una confessione erotica dilatata che sfida lo spettatore, mescolando pornografia esplicita, dolore esistenziale e ironia. Il corpo diventa un luogo narrativo e politico, non più solo spettacolo.


Festival come Cannes, Berlino e Venezia premiano e valorizzano questo tipo di cinema, sdoganando definitivamente il racconto della sessualità come forma d’arte e indagine umana.


In conclusione, il cinema erotico ha fatto un lungo viaggio: da un linguaggio puritano e censurato, alla (quasi) completa libertà artistica. Oggi la sessualità non è più soltanto provocazione: è linguaggio, è psicanalisi, e soprattutto, parte del nostro modo di raccontare il mondo.


Se ami il cinema e vuoi scoprire nuovi film e curiosità, seguici sui social e sul nostro blog. Ti aspettiamo all’Andaras Traveling Film Festival a Fluminimaggiore, Buggerru e Iglesias, dal 14 al 19 luglio 2025.

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