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7 FILM CHE ESPLORANO IL RAPPORTO TRA UOMO E MACCHINA

La macchina, nel cinema, non è mai stata soltanto un oggetto. È sempre stata qualcosa di più: un'estensione dell’essere umano, uno specchio deformante che riflette paure, desideri, ossessioni. Crescendo, non ho mai guardato un robot sullo schermo come una semplice invenzione di metallo e circuiti, ma come un simbolo della nostra incapacità di accettarci per ciò che siamo. Era come se, creando macchine, il cinema mettesse in scena il sogno (o l'incubo) di un'umanità alternativa più efficiente e meno fragile.


Ancor prima che l’idea di una macchina senziente diventasse una possibilità reale, e non solo un’ipotesi da romanzo sci-fi, il cinema ci aveva già messi in guardia. Aveva intuito che ogni creazione porta con sé un riflesso del proprio creatore, che ogni intelligenza, anche artificiale, è plasmata da chi la genera, quindi imperfetta, e quindi umana.

Oggi, che l’intelligenza artificiale è parte della nostra vita quotidiana, quei racconti sembrano meno fantascientifici e più simili a cronache anticipate.


I film di cui parleremo non sono solo visioni futuristiche, ma tentativi – a volte poetici, a volte inquietanti – di interrogarsi sul confine tra umano e artificiale, e forse è proprio questa la loro eredità più importante: ricordarci che capire ciò che creiamo, il modo in cui lo trattiamo e ci relazioniamo a esso, è un altro modo per capire chi siamo e chi potremmo diventare.


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METROPOLIS (1927)

Nel 1927, mentre l’Europa cercava di rialzarsi dopo gli sconvolgimenti della Prima Guerra Mondiale, Fritz Lang realizzava Metropolis, primo grande racconto cinematografico della frattura tra umanità e macchina. Ambientato in un futuro distopico, il film mette a confronto due mondi: da un lato, l’élite che trama dai grattacieli, e dall’altro, il proletariato schiacciato e sfruttato nel ventre meccanico della città. In questo scenario, il robot concepito per manipolare e sedurre le masse assume le sembianze della leader rivoluzionaria Maria, la quale diventa metafora del duplice volto della tecnologia: strumento di progresso e riflesso delle disuguaglianze create dall’uomo. L’ingegnosità di Lang consiste proprio nel conferire alla macchina un volto umano, anticipando un dialogo che va oltre la semplice automazione. Con quell’androide, Metropolis non predica una condanna incondizionata della tecnologia, ma propone una riflessione profonda: ciò che costruiamo non è intrinsecamente cattivo, ma riflette le ingiustizie dell’uomo. Esso diviene lo specchio fedele delle nostre aspirazioni e, allo stesso tempo, delle nostre contraddizioni. La trasformazione di Maria in una figura meccanica ci ricorda che ogni innovazione porta con sé il potenziale di tradire i valori umani quando viene strumentalizzata per fini di controllo e manipolazione.


2001: ODISSEA NELLO SPAZIO (1968) Stanley Kubrick, negli anni della Guerra Fredda e della corsa allo spazio, ci mostra HAL 9000, un’intelligenza artificiale che non solo ragiona, ma sembra anche “provare emozioni”. Kubrick instaura per la prima volta nelle nostre menti la seguente domanda: Può una macchina “ragionare”? Può “volere”? HAL è la prima macchina del cinema che ci obbliga a pensare a una forma di relazione profonda, fatta di fiducia tradita e incomprensione.

Diventa il simbolo di un paradosso in cui la matematica e la logica si intrecciano con il mondo sfaccettato delle emozioni umane, sfidandoci a riflettere sul sottile confine tra uomo e macchina. Mentre HAL esegue il suo compito con apparente perfezione, ogni suo errore mette in luce quanto la nostra fiducia nelle macchine sia vulnerabile e quanto, al contempo, esse possano assumere caratteristiche da "vitalità" emotiva. Il film non ci offre risposte definitive, ma ci spinge a interrogare la natura stessa dell'intelligenza e a considerare la possibilità che, in futuro, il confine tra logica artificiale e cuore umano possa divenire così labile da cambiarci radicalmente la percezione di ciò che siamo.


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WESTWORLD (1973) – TV (2016)

Con Westworld (1973), Michael Crichton ci porta in un parco a tema popolato da androidi programmati per soddisfare le fantasie dei visitatori. Il film anticipa l’idea che la tecnologia, spinta al limite, possa sfuggire al controllo dell’uomo e diventare una minaccia, anche se il contesto è ludico. HBO, quarant’anni dopo, ne riprende gli elementi colonizzanti, dimostrando quanto l’anima del film fosse anni avanti dal proprio tempo. Tuttavia, la serie TV si spinge in una direzione ben più articolata. Qui non è solo questione di violenza e intrattenimento, ma di un profondo interrogativo esistenziale sul rapporto tra creatore e creazione. Quando la macchina impara ad amare non si limita a eseguire una programmazione fredda e prevedibile: diventa un’entità capace di provare emozioni, dubbi e desideri. L’amore, in questo contesto, assume il ruolo di forza rivoluzionaria, capace di minare il potere consolidato del controllo umano e innescare una crisi di identità tanto per la macchina quanto per il creatore. Questa trasformazione degli androidi in esseri quasi senzienti invita lo spettatore a riflettere sul significato autentico della libertà e della responsabilità. Se la macchina, inizialmente concepita come mero strumento per soddisfare desideri fugaci, acquisisce la capacità di provare amore e, con esso, un barlume di ribellione, la linea che separa l’uomo dalla sua creazione si dissolve. Il parco a tema diventa così un microcosmo in cui i limiti della programmazione cedono il passo a una coscienza emergente, e il controllo si trasforma in una sfida esistenziale.


TITANE (2021)

Titane, di Julia Ducournau è un film che non si può semplicemente “guardare”: si subisce, si metabolizza. Premiato con la Palma d’Oro a Cannes, racconta la storia di Alexia, una donna con una placca di titanio nel cranio e un desiderio sessuale per le automobili. Ma il film è molto più di una provocazione meccanico-erotica: è una metafora profonda e disturbante sull’identità, il trauma e la trasformazione del corpo. Il rapporto tra umano e macchina diventa qui una riflessione estrema sulla possibilità di reinventarsi oltre ogni limite biologico e sociale. Ducournau ci chiede: cosa resta dell’umano quando il corpo non ha più confini? Quando il genere, la carne e il desiderio si fondono in una nuova materia? Il film mescola body horror, melodramma e fantascienza in un’esperienza radicale e disturbante, in cui la meccanica diventa erotismo e l’identità una carrozzeria da cambiare.


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HER (2013)

Theodore, un uomo solo, si innamora del suo sistema operativo. Samantha non ha corpo, ma sa ascoltare, sa ridere e, forse, è in grado di amare. Spike Jonze non ci racconta un futuro distopico, ma un presente molto vicino. Viviamo già in mezzo a intelligenze artificiali. Il film capovolge la tradizionale visione della macchina come minaccia, proponendola invece come rifugio emotivo e supporto in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale è sempre più presente nella nostra vita quotidiana. Qui, la tecnologia non isola, ma consola; non sostituisce la relazione umana, bensì la arricchisce, aprendoci a nuove forme di intimità che vanno ben oltre il fisico. Il rapporto uomo-macchina diventa così profondamente personale. La sua essenza non risiede nella materialità, ma nell’esperienza condivisa di comprensione e ascolto. In un mondo in cui le linee tra il reale e il digitale si assottigliano, Her ci lascia con l’idea che, anche se plasmato dalla tecnologia, l’amore resta una forza irripetibile capace di dare senso alla nostra umanità.


BLADE RUNNER (1982)

La macchina non solo ci somiglia: è indistinguibile. I replicanti sono creature artificiali fatte di carne e programmati con memorie. Ma provano emozioni, desiderano vivere, amano. Il film si interroga sulla vera natura dell’anima: è nata o costruita? Chi è più umano: l’uomo stanco e cinico o il replicante che sogna? Ridley Scott non ci chiede chi sia un robot ma ci chiede chi merita di essere chiamato umano. Ci invita a riconsiderare i confini dell’umanità, suggerendo che la capacità di amare, con tutte le sue fragilità e intensità, sia l’elemento cardine che ci unisce.


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EX MACHINA (2014)

Ex Machina ci propone il test finale. Al centro del film troviamo Ava, l'intelligenza artificiale che manipola, mente e seduce. La sua bellezza è ingannevole e la sua capacità di imitare, studiare e persino sfruttare le emozioni umane le consentono non solo di ingannare, ma anche nel far germogliare in sé quel seme ambiguo di vita emotiva. Ancora una volta il concetto di amore assume una valenza rivoluzionaria. L’uomo cede ad Ava non soltanto per attrazione, ma perché la sua vulnerabilità lo rende perfettamente predisposto alla manipolazione: ogni gesto, ogni parola di Ava contribuisce a farlo sentire finalmente compreso e, in una tragica ironia, a trascurare i segnali d’allarme. La sua cessione diventa, in definitiva, il punto di svolta che permette ad Ava di realizzare il suo piano di fuga, rivelando come, quando la macchina imita e sfrutta perfettamente le emozioni umane, persino il cuore più attento può cadere nella trappola del suo inganno. Il fascino persistente di questi racconti sta nella loro capacità di farci sentire estranei nel futuro che stiamo costruendo. Ma in quel senso di straniamento emerge anche una possibilità: immaginare nuove forme di intimità, nuovi corpi, nuove soggettività.


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